Vi è mai capitato di aspettare con ansia l’inaugurazione di una mostra? E poi essere costretto a rimandare? Beh, finalmente arriva il giorno tanto atteso. Vi preparate mentalmente all’impatto con le immagini del vostro fotografo preferito. Pregustate già le emozioni. Fate la fila, pagate il biglietto ed entrate. Ed ecco la sorpresa: le sale sono stracolme di gente. Confusione, persone che ascoltano l’audio guida col più alto dei volumi, ragazzini si frappongono tra voi e le fotografie. Un vero disastro.
Godere di un’opera non è cosa per persone poco “educate all’arte”. Richiede non solo passione (e silenzio), ma serve essere preparati a “guardare“.
Comprendere una fotografia
Non bastano gli occhi, e neppure un fugace sguardo alle didascalie. Non basta osservare e giudicare la composizione fotografica, uno sfocato troppo evidente, i colori troppo saturi o il bianco e nero poco contrastato. Per comprendere davvero una fotografia è necessario capire realmente cosa si sta guardando. E’ necessario immergersi nell’attimo immortalato dal fotografo, ma per farlo ci vuole tempo e concentrazione.
Quando mi trovo davanti ad uno scatto – sia di epoca passata o contemporanea – sento fortemente il bisogno istintivo, ed è una necessità quasi fisica, di cercare di comprendere quello che il fotografo in quel momento provava, pensava, percepiva nel momento stesso in cui stava creando. Ho bisogno di isolarmi, di concentrarmi, di focalizzarmi su quella scena. Devo immaginare l’atmosfera che c’era nell’esatto momento in cui l’artista viveva l’attimo. Ed io sono lì, con lui. Sento gli sguardi delle comparse, i colori delle foglie, il profumo nell’aria, il silenzio dei panorami e il sibilo del vento.
Vivere la fotografia
Sogno, immaginando cosa possa significare il contesto che sto guardando, ed anche quello che c’è “oltre“, ciò che non si vede, tra povertà o ricchezza, in mezzo alla natura incontaminata o ai margini di una città distrutta da un bombardamento, travolto di emozione per l’assurdità di una scena, magari lontano nel tempo o addirittura lontano dallo spazio dove ci troviamo o in cui siamo abituati a vivere. Un viaggio della mente in altre culture, in altre storie, tra altre sensazioni ed altre vite. Dettagli fondamentali che hanno essenza nel gusto per le sfumature, per la poesia che c’è dietro ogni scatto.
Vivere la fotografia è proprio questo. E la curiosità non si ferma di certo al primo sguardo. Non c’è mai un unico percorso predeterminato perché “guardare” sia sinonimo di “sentire”.
Diceva Eisenhower: “Le cose davvero importanti sono raramente urgenti e le cose urgenti sono raramente davvero importanti”. Dare il giusto valore al vostro tempo significa utilizzare tutto quello che serve per fare le cose bene. Chi si occupa da sempre di fotografia sa bene che la velocità dello scatto che ferma l’immagine, pur se colta “al volo”, richiede una grande intuizione e una lunga preparazione. L’attimo scelto dal fotografo è velocità di esecuzione che si nutre di intuito.
Lo spettatore, all’opposto, deve dimenticare la fretta per entrare in simbiosi con il messaggio di cui è fruitore. Ognuno di noi può e deve sviluppare questo cammino secondo la propria sensibilità, le proprie conoscenze. Ma quello che è certo è che una fotografia può “comunicare con noi” solo se siamo predisposti ad accettare un dialogo con essa. Senza alcuna fretta.
Ciao Giulio complimenti per il tuo blog, che non conoscevo.. Continua così..
Grazie a te per essere passato 🙂